Fondata nel 2001, la Hope House è un sotto-programma del più ampio programma di Caritas Swaziland per la prevenzione e cura dell’HIV e AIDS; si concentra principalmente sulle cure palliative residenziali e di sostegno per le persone colpite da HIV e AIDS e la tubercolosi in un ambiente reso il più possibile vicino a quello domestico rispettando le linee guida nazionali per le cure palliative e il Quadro multi-settoriale nazionale (NSF) su HIV e AIDS per il quinquennio 2009-2014.
Prima dell’avvento dei farmaci antiretrovirali, Hope House era stata inizialmente una risposta alle circostanze terribili in cui molte persone con HIV e AIDS stavano morendo. Allo stato attuale, costituisce ancora un luogo di pace e dignità per i pazienti terminali, ma la maggior parte delle persone, grazie alla terapia, sono oggi in grado di tornare alla loro comunità e al loro lavoro.
Durante i suoi 11 anni di attività ha fornito assistenza e sostegno a più di 6.600 persone, costruendosi una solida reputazione per la fornitura di cure palliative di qualità. I servizi di Hope House sono a disposizione di tutti i Swazi provenienti dalle quattro regioni amministrative che compongono il Paese, indipendentemente dalla loro affiliazione religiosa.
I pazienti sono invitati a contribuire con 20 euro al giorno per sostenere i costi del centro; nella maggior parte dei casi, i pazienti non sono in grado di pagare ma vengono ugualmente ammessi e trattati. I pazienti trattati sono circa 380 all’anno. Il centro è costituito da 25 unità arredate e progettate per ospitare un paziente e il suo accompagnatore, quasi sempre un membro della famiglia.
Il progetto
Il progetto è stato concepito per ampliare l’offerta di servizi sanitari, accrescere le conoscenze sanitarie del personale e dei pazienti e dotare il centro di nuove funzionalità logistiche e pratiche che lo rendano più fruibile da parte dei degenti e facilitino il lavoro dello staff. Grazie a questo progetto, la Hope House ha potuto:
– rinnovare gli ambienti per la degenza, che necessitano di tinteggiatura, nuovo mobilio, chiusura delle crepe;
– dotare il centro di una rampa, necessaria per i pazienti in sedia a rotelle, di un muro di sostegno che rafforzi quello presente, che ogni anno viene seriamente danneggiato dalle piogge torrenziali, e di un sistema di canalizzazione dell’acqua piovana per ridurre l’umidità degli ambienti, che aumenta in concomitanza con le abbondanti piogge;
– realizzare l’aggiornamento dello staff medico, la formazione sulle cure palliative di 240 persone in un anno fra pazienti e familiari che li assistono (che permetterà il cosiddetto task shifting) e la formazione per una ex-paziente e ora anche volontaria a tempo pieno del centro che ha manifestato la volontà di formarsi per poter poi essere inserita in una struttura sanitaria locale come operatrice qualificata;
– fornire cibo e farmaci a una media di sei pazienti adulti al giorno che si trovano in condizioni di particolare indigenza e non possono, pertanto, contribuire al proprio mantenimento durante la degenza con il pagamento della quota di 20 euro e nemmeno con un contributo minore;
– dotarsi di un piccolo magazzino comprensivo di deposito per gli attrezzi necessari alla manutenzione e al funzionamento del centro;
– dotarsi dell’attrezzatura necessaria per fornire ai pazienti un servizio di fisioterapia per favorire il loro recupero fisico e permettere loro di terminare la degenza essendo già in condizioni di tornare al lavoro o almeno di essere autonomi.
Finanziatori: Conferenza Episcopale Italiana
PROGETTO CONCLUSO
Leggi l’articolo sul lancio del progetto nel blog di Mons. José Luís Ponce de León, IMC, vescovo di Manzini