Micro progetti per grandi problemi. Cibo, scuola, sanità, acqua, diritti. Sono molti i nostri missionari che si spendono ogni giorno per costruire un mondo più vivibile, non solo annunciando la Parola, ma ponendo quotidianamente piccoli gesti di fraternità verso i più piccoli e i più poveri. Ecco alcune attività significative in Africa e America Latina. Tutte, casualmente, sono portate avanti da missionari della Consolata africani.
Costa d’Avorio, una cucina per la scuola di Blessoua
Durante la stagione delle piogge, nei villaggi della brousse (savana), le fragili costruzioni in terra e paglia faticano a resistere alle forti folate di vento e alle precipitazioni torrenziali. La cucina della scuola elementare di Blessoua, nella Costa d’Avorio meridionale, era una di queste casette precarie e risultava inservibile quando la pioggia si faceva troppo battente. Perciò l’ora del pranzo per i 423 bambini della scuola non poteva più essere mezzogiorno ma, molto più imprevedibilmente, l’ora in cui smetteva di piovere. Le conseguenze sulla didattica sono facili da immaginare, con i quindici maestri sempre a rischio di dover interrompere la lezione e gli alunni sempre meno concentrati e più stanchi per l’attesa del pasto. Per questo padre James Gichane, keniano di Nakuru, in missione a Blessoua, ha chiesto di poter costruire una cucina più solida che permetta al cuoco di lavorare in tranquillità e ad alunni e insegnanti di concentrarsi sulle lezioni. La scuola riunisce figli di ivoriani ma anche di togolesi, burkinabè e beninesi venuti in Costa d’Avorio per lavorare nelle piantagioni di cacao: la socializzazione fra questi bambini è un mattone basilare nelle fondamenta della pace che il paese sta costruendo dopo essere uscito da una guerra civile che si alimentava anche della manipolazione dell’odio fra ivoriani e stranieri.
Kenya, energia pulita per la «meglio» scuola secondaria della Laikipia
Quasi cinquemila chilometri più a Sud Est, in un’altra scuola – stavolta secondaria – il responsabile padre David Mbgua ha invece potuto installare un sistema fotovoltaico alla Mary Mother of Grace Secondary School di Rumuruti nella contea di Laikipia, Kenya: il risparmio sulla bolletta della luce gli permetterà di liberare risorse da utilizzare per la didattica, di evitare i blackout che impedivano ai ragazzi di studiare dopo il tramonto del sole e di alimentare la scuola con energia rinnovabile, tema questo tutt’altro che secondario in un paese che sta dibattendosi fra richiesta energetica sempre in crescita ed esigenza di sostenibilità ambiatele.
La Mary Mother of Grace fu aperta nel 1992 da padre Giuliano Gorini, recentemente scomparso. Ha 216 alunni e si trova in una zona abitata da pastori nomadi in costante movimento per seguire il bestiame, dove i casi di banditismo sono frequenti. Padre Gorini stesso, ricordava nel 2013 un articolo sul quotidiano Daily Nation, si è trovato più di una volta una carabina puntata in faccia mentre, sdraiato a terra, ascoltava i banditi chiedergli soldi. La scuola vanta uno dei migliori insegnati di fisica del Kenya secondo i risultati degli esami di maturità: le sue classi del 2009 e del 2013 hanno ottenuto 11,5 e 11,58 punti sul massimo di dodici del sistema di valutazione keniano. E non solo, la scuola che, come regola, accoglie ragazzi provenienti da famiglei povere, desiderosi di studiare, si piazza ogni anno tra le primissime di tutto il paese.
Tanzania, a Pawaga contro i danni del clima impazzito
Se le piogge privavano i bambini ivoriani della loro mensa scolastica, in Tanzania non sono state da meno nel rendere dura la vita della gente di Pawaga, villaggio in un’area semi arida a un’ottantina di chilometri dalla città di Iringa, nel centro del paese: a febbraio di quest’anno le piogge, di solito scarse e brevi, sono state così abbondanti da provocare inondazioni e costringere centinaia di persone a sfollare mentre le loro proprietà sono state distrutte. Passate le piogge, l’acqua stagnante ha favorito il moltiplicarsi delle zanzare e i casi di malaria sono aumentati notevolmente rispetto alle medie locali. Per questo padre Vitalis Oyolo, missionario keniano e responsabile dei progetti in Tanzania, ha segnalato la necessità di acquistare e distribuire farmaci antimalarici e zanzariere in modo da contrastare l’espandersi dell’epidemia. A Itundundu, vicino Pawaga, i missionari gestiscono inoltre un dispensario che, grazie al supporto di un donatore statunitense, segue e cura circa 450 bambini malnutriti.
Congo RD, acqua e salute a Neisu
L’acqua invece non è mai troppa quando si tratta di soddisfare le esigenze di una rete sanitaria come quella dell’ospedale Nôtre Dame de la Consolata di Neisu, nella Provincia Orientale della Repubblica Democratica del Congo, che serve circa settantamila pazienti e conta, oltre alla struttura principale, anche tredici centri e posti di salute, il più lontano dei quali si trova a sessantacinque chilometri dall’ospedale. L’ospedale è costantemente alle prese con situazioni al limite dell’emergenziale: lo scorso aprile David Bambilikpinga-Moke, missionario congolese rientrato in patria dopo anni di lavoro nell’Amazzonia brasiliana e ora responsabile dell’ospedale, scriveva: «In questo momento stiamo registrando una epidemia di malaria in cui la maggior parte dei pazienti sono bambini di meno di dieci anni (attualmente 183). È già la seconda volta in quattro mesi che ci troviamo di fronte a questa situazione».
I centri e posti sanitari hanno un ruolo fondamentale nel raggiungere pazienti che non potrebbero altrimenti affrontare lo spostamento fino all’ospedale. Per il loro corretto funzionamento l’acqua pulita è indispensabile e fra il 2010 e il 2012, grazie ai fondi dell’otto per mille della Tavola Valdese e della Water Right Foundation della Toscana, sei centri hanno potuto avere il loro pozzo, ma ne servono ancora sette per altrettanti centri o posti che ne sono sprovvisti. Due saranno finalmente realizzati entro la fine del 2016.
Brasile, scuola di diritti a Serrinha
Quasi alla stessa altezza sull’Equatore rispetto a Neisu, ma sull’altra sponda dell’Atlantico, i problemi legati all’acqua e all’’struzione si intrecciano con la resistenza dei popoli indigeni contro chi li vuole, continua a volerli, cittadini di seconda categoria.
La scuola statale Índio Prurumã II si trova nella Terra indigena Raposa Serra do Sol, stato di Roraima, Brasile. È la scuola della comunità indigena Serrinha, conta 85 alunni, nove insegnati e richieste di iscrizione crescenti di anno in anno. Nonostante il riconoscimento pubblico della comunità e della scuola, lo stato non fornisce nessun sostegno concreto alle strutture e alla didattica: un triste espediente, questo, che svuota nei fatti i diritti dei popoli indigeni sanciti per legge. A far pressione sul governo statale in questa direzione sono i grandi latifondisti e gli altri potentati economici del Roraima, peraltro spesso familiari o membri loro stessi della classe politica locale, che vedono nella presenza degli indios semplicemente un fastidioso ostacolo alla possibilità di appropriarsi della terra.
Le scuola aveva solo quattro aule, tutte di fango, lamiera, pali e assi di legno e la comunità non disponeva di fonti d’acqua affidabili e igienicamente sicure. Fra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, inoltre, un’ondata di siccità particolarmente forte aveva messo in difficoltà la popolazione locale, costretta a dipendere giornalmente dall’arrivo delle autobotti inviate dal municipio o a utilizzare fonti d’acqua di fortuna. I progetti in corso, seguiti dal missionario congolese Jean Tuluba, permetteranno di migliorare la struttura delle quattro aule e scavare un pozzo artesiano che serva la scuola e la comunità intorno.
Brasile, a Maturuca agricoltura biologica e sanità
Maturuca è il cuore della lotta indigena a Raposa Serra do Sol: è lì che si trova la grande maloca comunitaria dove possono riunirsi fino a mille persone provenienti da tutta la regione per unire le forze e le idee nelle loro battaglie. È il luogo della promessa con cui nel 1977 i tuxaua (capi delle comunità) cominciarono la lotta all’alcolismo che fiaccava la determinazione delle loro comunità a opporsi a chi voleva spazzarli via; è stata il punto nevralgico della campagna Indios Roraima del 1988-89 e del progetto ad essa legato, «Una mucca per l’indio», che ha permesso a Raposa Serra do Sol di passare da poche vacche a 42 mila capi di bestiame.
Oggi Raposa si trova a dover consolidare e rafforzare questi risultati per lottare contro la tentazione per i più giovani di spostarsi in città, e per puntare a una sempre maggiore autonomia economica di un’area che rimane isolata e, negli ultimi anni, esposta a cambiamenti climatici che hanno ridotto le piogge e reso più difficile l’agricoltura. A questa sfida cerca di rispondere il progetto di padre Philip Njoroge Njuma, missionario keniano in forza a Maturuca. Il progetto, che si chiama Terra Madre, vuole offrire ai giovani una scuola di formazione all’agricoltura biologica per autoconsumo e vendita e creare un efficiente sistema di irrigazione che permetta di coltivare contando sull’acqua. A questo si affianca poi un altro progetto che permetterà di aprire tre centri sanitari: diverse comunità hanno già provveduto in autonomia alla costruzione del proprio centro ma ci sono ancora aree non raggiunte dai necessari servizi di tutela della salute.
Colombia, il teatro degli oppressi a Cali
Sempre a minoranze e gruppi vulnerabili è rivolto il progetto «Teatro degli oppressi» che si realizza a Cali, grande città della Colombia occidentale. Qui il keniano padre Venanzio Mwangi Munyiri sta lavorando da anni con i giovani discendenti degli schiavi deportati dall’Africa a partire dalla fine del XVI secolo. La popolazione afro-colombiana ha subito da sempre discriminazioni molto simili a quelle patite dalle popolazioni indigene, alle quali si sommano oggi, in città come Cali, i problemi tipici delle periferie urbane coi le loro sacche di marginalizzazione e povertà.
Questo insieme di condizioni, spiega padre Venanzio, ha indotto negli afro-discendenti un senso di impotenza e rassegnazione alla subalternità che li spinge a ripiegare su metodi di sostentamento degradanti e li espone al reclutamento da parte delle organizzazioni criminali.
Il progetto di sei mesi, a cui contribuiscono anche le amministrazioni locali, prevede una fase di sensibilizzazione delle comunità, la formazione degli animatori e un programma didattico che valorizzando il teatro aiuti i partecipanti a riscoprire e apprezzare la propria identità e cultura e quella degli altri al fine di crescere nell’accettazione e nel rispetto delle diversità culturali.
Harambee, insieme
Per tutti i progetti la comunità locale ha fornito un contributo: manodopera, vitto e alloggio per gli operai, trasporto dei materiali oppure una parte delle risorse. Il contributo è una combinazione della minga colombiana, del mutirão brasiliano, dell’harambee kenyano o di altre forme di partecipazione comunitaria. Sono termini in lingue diverse che condividono un principio di base: è attraverso il fare insieme che la comunità, oltre a risolvere il problema pratico di procurare risorse, promuove la propria autoconservazione.