La 27ª Conferenza delle parti di Sharm el-Sheikh si è conclusa con un accordo per compensare i paesi del Sud del mondo, i meno responsabili delle emissioni, per i danni che il cambiamento climatico sta causando nei loro territori. Ma sulla mitigazione non si è andati oltre la Cop26 di Glasgow, che era stata troppo debole sull’eliminazione dei combustibili fossili. Da Missioni Consolata di gennaio – febbraio 2023, sul sito web della rivista o nella versione sfogliabile on line
Una sintesi efficace di questa Cop27 l’ha tracciata Manuel Pulgar-Vidal, che aveva presieduto l’edizione 2014 del vertice, la Cop20, e ora è il responsabile del clima per il World wide fund for nature, Wwf (già World wildlife fund): «L’accordo su perdite e danni è un passo avanti», ha detto Pulgar-Vidal al New York Times, ma il fondo di compensazione che l’accordo crea «rischia di diventare un “fondo per la fine del mondo” se i paesi non si muovono più veloci per ridurre drasticamente le emissioni. Non possiamo permetterci un altro vertice sul clima come questo».
L’accordo su perdite e danni (loss and damage, in inglese) prevede l’istituzione di un fondo che compensi i paesi più poveri e vulnerabili per i danni provocati da disastri climatici che le emissioni dei paesi ricchi e il conseguente aumento delle temperature hanno contribuito a rendere più frequenti e intensi.
L’accordo rappresenta una svolta nel lungo e duro scontro fra gli stati del Sud del mondo, che da decenni sollecitano i paesi industrializzati a pagare per i danni causati al clima dalle loro economie, e le potenze come Usa e Ue, decise a evitare che queste compensazioni vengano viste come un’ammissione di responsabilità e per questo dovute per decenni a venire.
Un comitato di transizione, composto dai rappresentati di 14 paesi in via di sviluppo e 10 paesi sviluppati, avrà dunque l’incarico di preparare nel corso del 2023 tutte le raccomandazioni per creare il fondo e regolarne la gestione, in modo che possano essere discusse e adottate durante la Cop28 e che il fondo stesso diventi operativo nel giro di un paio di anni. Le risorse necessarie per le compensazioni, riportava Ferdinando Cotugno su Domani del 21 novembre 2022, «potrebbero essere tra i 300 e i 500 miliardi di dollari all’anno già entro la fine di questo decennio».
«Abbiamo lottato per 30 anni su questa strada», ha detto la ministra per il clima del Pakistan, Sherry Rehman, rivolgendosi al presidente della Conferenza, il diplomatico egiziano Sameh Shoukry, nella plenaria conclusiva, «e oggi a Sharm el-Sheikh questo viaggio ha raggiunto il suo primo traguardo positivo. Signor presidente, lei ci ha promesso una Cop di implementazione e ce l’ha data. Per questo mi congratulo con lei e con tutti noi».
I paesi già colpiti
In molti si aspettavano in realtà una Cop di transizione e il fatto che sia stata presa una decisione come quella sulle compensazioni è in effetti un successo inatteso. La posizione del Pakistan era quest’anno più dura e significativa, poiché il paese ha subito una delle peggiori catastrofi naturali della sua storia, con alluvioni che hanno sommerso un terzo del territorio, causato oltre 1.100 morti e provocato danni per circa 30 miliardi di dollari.
Come presidente di turno della coalizione G77, che riunisce dal 1964 i paesi in via di sviluppo e ha il sostegno della Cina, il Pakistan ha guidato con successo lo sforzo negoziale affermando che riconoscere e risarcire le «perdite e i danni non è beneficenza, ma giustizia climatica».
Gli scienziati che si occupano di clima e che hanno analizzato gli eventi estremi che hanno colpito il Pakistan si stanno mostrando abbastanza concordi nell’affermare che il riscaldamento globale ha avuto un ruolo non nel determinare il fenomeno – i monsoni, e le piogge abbondanti che questi portano, sono ricorrenti in Pakistan e la loro intensità subisce notevoli variazioni di anno in anno – ma nell’aumentarne la portata, incrementando la quantità di acqua evaporata dall’oceano che si è poi accumulata nell’atmosfera e ha intensificato le precipitazioni.
Carbon Brief, un sito web britannico che si occupa di riscaldamento globale e temi connessi, ha una mappa del pianeta interattiva che mostra gli eventi meteorologici estremi legati al cambiamento climatico, quelli che non hanno con questo nessuna connessione e quelli per i quali i dati sono insufficienti per stabilire o escludere un legame.
Mitigazione, pochi progressi
Al momento, il mondo si trova su una traiettoria che lo porterà a un riscaldamento fra i 2,1 e i 2,9 gradi celsius entro la fine di questo secolo. Ogni frazione di grado in più rischia di esporre ulteriori milioni di persone a ondate di caldo, scarsità di acqua e inondazioni costiere dagli effetti potenzialmente letali.
Mantenere il riscaldamento del pianeta non oltre 1,5 gradi significa evitare che aumenti la frequenza con cui si presentano i fenomeni più estremi. Mezzo grado può sembrare poco, ma secondo le stime sarebbe sufficiente perché la quota di popolazione mondiale colpita da ondate di caldo estremo almeno una volta ogni cinque anni passi dall’attuale 14% al 37%.
Per mitigare il cambiamento climatico, cioè prevenirne gli effetti e non solo limitarsi ad adattarsi a essi, il solo modo efficace è ridurre le emissioni. Ma su questo punto la Cop27 non è andata oltre i risultati ottenuti a Glasgow nella conferenza precedente. Anzi, come ha commentato durante la plenaria conclusiva un deluso Frans Timmermans, vicepresidente dell’Unione europea, durante le negoziazioni ci sono stati troppi tentativi di tornare indietro rispetto alla già poco incisiva Cop26.
In Egitto, i paesi membri non hanno raggiunto un accordo sulla riduzione dei combustibili fossili appoggiata da un blocco di paesi guidati dall’Unione europea, e il testo finale dell’accordo di Sharm el-Sheikh promuove accanto alle rinnovabili anche «fonti di energia a basse emissioni». «Dimmi che stai parlando di gas senza dirmi che parli di gas», commentano con ironia sui loro profili Instagram l’organizzazione ambientalista ZeroCo2 e l’illustratrice e attivista Alessia Iotti.
L’Ue ha ottenuto il solo risultato di imporre il mantenimento della soglia di 1,5 gradi come limite accettabile per il riscaldamento globale. «Viviamo già in un mondo con un cambiamento di 1,2 gradi e questo mondo è già invivibile per molti», ha concluso Timmermans, «non possiamo fallire di nuovo nel tentativo di evitare il peggio».
Il ruolo dell’Egitto
Un dato che rischia di non apparire in tutto il suo peso a chi osserva questi vertici dall’esterno è il ruolo decisivo degli aspetti organizzativi e logistici, a cominciare dal ruolo centrale del paese ospitante, che guida le negoziazioni e determina l’agenda.
Se alla Cop27 si è parlato tanto di perdite e danni, fino a raggiungere un importante accordo, è perché questo tema è molto sentito dai paesi a medio e basso reddito, e l’Egitto e uno di essi. Per questo la presidenza egiziana della Cop27 ha dedicato tempo e sforzi a raggiungere un obiettivo condiviso con altri paesi del Sud del mondo, mentre ha messo in secondo piano la mitigazione e la riduzione dei combustibili fossili.
L’Egitto ha fatto di più che trascurare la mitigazione: ha portato avanti la propria agenda di paese esportatore di gas. «Sotto diversi punti di vista», scriveva Ferdinando Cotugno su Domani il 13 novembre scorso, «la Cop27 per l’Egitto sta andando benissimo: partnership energetiche, affari d’oro e incontri bilaterali di prestigio».
La prossima Conferenza delle parti, Cop28, si svolgerà a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, uno dei dieci più grandi produttori mondiali di petrolio, e molti stanno già ipotizzando che sarà un’altra conferenza non abbastanza incisiva per la riduzione delle emissioni.