Aprire canali umanitari e di mobilità regolare da un lato all’altro del Mediterraneo e togliere così potere alle reti criminali che lucrano sulla migrazione, evitare di sottrarre ai paesi di emigrazione il personale qualificato – ad esempio in ambito sanitario – per non aumentare ulteriormente il loro impoverimento che genera, poi, ulteriori partenze, dare voce e ruolo alle diaspore dei migranti e trasformare il meccanismo dei rientri volontari assistiti in qualcosa che non sia semplicemente una sorta di espulsione consensuale ma piuttosto uno strumento per dare ai migranti competenze che li facciano crescere professionalmente e li rendano una risorsa. Queste le raccomandazioni emerse dalla giornata di lavoro al festival Sabir di Lampedusa, dove associazioni e Ong
impegnate nel lavoro con i migranti, sebbene divise in gruppi di lavoro tematici, hanno raggiunto conclusioni omogenee fra le quali spicca il secco no a Frontex Plus, il programma che l’UE ha messo in campo per il controllo dei flussi migratori. Frontex Plus, hanno dichiarato i relatori del gruppo di lavoro su frontiere e prima accoglienza, non può sostituire Mare Nostrum perché il primo è un’operazione di polizia in acque territoriali Schengen mentre il secondo è un’operazione di salvataggio, che finora ha permesso a 130 mila persone di non essere inghiottite dal mare come invece è accaduto alle 368 vittime commemorate nella giornata di ieri.
Frontex Plus, concordano i partecipanti di Sabir, è l’ennesima dimostrazione che per l’UE gestione dei flussi migratori significa sicurezza e controllo dei confini più che solidarietà e questo approccio va superato mettendo al centro delle politiche migratorie i diritti umani e dando priorità al co-sviluppo che coinvolga entrambe le sponde del Mediterraneo.
La sessione su migrazione e sviluppo, coordinata da Andrea Stocchiero della Focsiv, ha poi approfondito la situazione italiana anche alla luce della recente approvazione della nuova legge sulla cooperazione, che è più attenta della precedente alla necessità di armonizzare le politiche in modo che gli sforzi dell’Italia nella solidarietà internazionale non vengano annullati ad esempio da politiche economiche o migratorie di segno opposto. «Due sono i livelli di azione sui quali dobbiamo concentrarci:», ha detto l’euro deputata eletta nel file del PD Elly Schlein, «uno è quello delle nostre normative», e in questo ambito «va superata la Bossi-Fini che è una legge criminogena»; l’altro è il livello europeo, e «la domanda non è “dov’è l’Europa di fronte a Lampedusa”, bensì “dove sono gli Stati membri”, da sempre troppo gelosi delle loro competenze su questo tema».
Altro e fondamentale elemento emerso nel dibattito è lo scarso coordinamento fra le istituzioni locali italiane sulla gestione dei fondi europei assegnati alle regioni, che la Sicilia ad esempio non ha ancora finito di spendere per l’anno in corso. A Lampedusa il tasso di abbandono scolastico è del 70% e, nel contempo, ci sono centinaia di minori stranieri non accompagnati arrivati sulle carrette del mare. L’amministrazione locale ha richiesto i fondi europei a disposizione per lanciare un progetto biblioteca rivolto a tutti questi ragazzi, isolani e migranti, ma i permessi – ad esempio quelli necessari a prelevare i minori stranieri dal centro di accoglienza e accompagnarli in biblioteca – arrivano in tempi così lunghi da non permettere il rispetto delle scadenze legate all’utilizzo dei fondi UE. Una stortura, questa del mancato coordinamento istituzionale che, non solo in Sicilia, rischia ogni anno di bruciare miliardi di euro.
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